III - I pierogi
Facciamo un piccolo passo indietro, prima che il caldo implacabile sorprenda Petrucciani impreparato nella stanza d'ostello, senza bevande. Facciamo un passo indietro a quando ancora è sera. A quando Petrucciani, ancora non assetato, è soltanto lievemente affamato.
Non è solo di acqua che si ha bisogno, dopotutto. Ecco che dunque, Il nostro si mette in cerca di un posto dove rifocillarsi, vagando lentamente per la città, con l'idea di non allontanarsi troppo da Good Bro, ché poi non ha voglia di fare troppa strada per tornare indietro. Ma anche con la voglia di trovare qualcosa di buono, ché neanche ha intenzione di restare con la bocca cattiva. Finché capita in una piazzetta di quelle amene, che si riconoscono subito per la tranquillità: come piacciono a lui.

Al centro c'è una vasca piena d'acqua, e in mezzo alla vasca qualche alberello di decoro. Pietre levigate immerse fin sotto l'acqua gli trasmettono un senso di pace. L'architetto le ha posizionate lì, proprio in mezzo alla fontana, e quel senso di pace è tutto ciò a cui agogna Petrucciani, da qualche tempo sempre più avidamente.
Si siede sul bordo della grande fontana di design; guarda al
centro dell'acqua i cubi di pietra levigata che spiccano dal fondo, perfetti, e
rimane così incantato per lunghi minuti, con lo scroscio d'acqua continuo nelle
orecchie. E i cubi sempre là, perfetti e immobili. E non c'è altro che importi.
Rimane seduto finché la fame non lo ridesta. A due passi dalla fontana si aprono un paio di locali che sembrano entrambi trattorie. Sono sistemati all'inizio di una via: a V. Una composizione cittadina dall'aspetto di uno di quei dipinti di Kirchner verdi e rossi, fatti di strade e di tram, proprio come i tram di Budapest; ma tram verdi chiari. Non tram di Berino. Petrucciani si aggira nei dintorni del primo palazzo scivolando sinuosamente tra i tavoli all'aperto, con fare dinoccolato, lanciando occhiate di sfuggita ai piatti degli avventori.
E gli piacciono le tovaglie bianche e rosse: a scacchi come in quelle che lui crede essere le "vere" trattorie. Una sua piccola fissazione. Sebbene le tovaglie a scacchi non bastino a convincerlo, perché già si è rivolto al lato opposto, trovandosi davanti a un Caffè. Caffè che serve anche portate, però; e che, subito si scopre, è recensito assai meglio del ristorante. Però sempre caffè: niente di più. Caffè la cui missione è di far star bene chi viene a colazione: non chi viene a cena. E allora? E poi il caffè, da quello che Petrucciani vede sul menù affisso fuori alla porta, ha una lista di piatti assai più elaborati della trattoria. Offre portate di stile: piatti gourmet che non combaciano con la voglia del trombettista di gustare la buona, rozza, cucina del posto.
Ma, colpo di scena, Petrucciani opta proprio per quel Caffè. Il
fattore decisivo? L'ambiente. L'ambiente è fondamentale per il trombettista:
alla trattoria di fronte non gli sono piaciuti i visi della gente, e i visi della
gente, lui non se lo può ripetere mai abbastanza, sono di vitale importanza
quando si compra: dal cibo agli elettrodomestici; dalle batterie di ricambio ai
vestiti. La trattoria è più "sbracata". Il caffè è più intimo. All'interno ha l'aspetto
di un localino da Hard Rock Cafè, pieno di oggetti vintage, di scale di legno,
di bicchieri a testa in giù sopra il bancone da bar; di cameriere che corrono
qua e là consapevoli e orgogliose della qualità del cibo che servono; e infine di
ragazzi che hanno un'aria da tipi alla mano, e assieme a quell'aria hanno la piena
consapevolezza, si vede bene, di far parte di una illustre equipe di chef.
Qualcuno, un cliente, si è seduto a mangiare dentro, a un tavolo d'angolo; e
ciò nonostante il caldo, consumando flemmatico il pasto in un vestito di giacchetta
di spezzato: un gilè demodé. Lungo il palazzo di Kirchner si snodano tavoli
attaccati alle finestre, e una coppia di giovani innamorati si è seduta in
disparte più in fondo, come se si fosse messa apposta agli ultimi banchi di
scuola per combinare quel qualcosa di proibito che sempre affascina. Si
abbracciano. Si baciano. Si scambiano tenere effusioni. Petrucciani li guarda
quasi con una lacrima agli occhi. È vero che avrebbe voluto sedersi lui a quel
tavolo, prima, quando era ancora libero; ma ora pensa che è meglio così: pensa
che è meglio aver lasciato il posto a quella bella coppia di giovani
sentimentali, e trova il suo a un tavolino in disparte dal lato esattamente
opposto. Gli piace guardare, ma non gli piace essere osservato.
Tra poco ordinerà una birra, e la berrà avidamente, finalmente diventato anche assetato, e non più soltanto preda dei blandi morsi della fame. Finalmente, scorge sul menù qualcosa che lo convincerà di essersi sbagliato: si è sbagliato di grosso sul conto del Caffè; perché trova, scritta in righe minuscole, la descrizione di un piatto slovacco di pierogi e formaggio di capra, che ordinerà all'instante. Il Caffè non è solo un luogo snob da cucina gourmet, dunque: è, adesso gli pare, anche un luogo rustico. Basta che si desideri che lo sia. I pierogi col formaggio di capra Petrucciani li ha già mangiati una volta a Bratislava, avvolto da quella sua agognata calda rusticità anche in quell'occasione: sfogliò lì un menù che mostrava fotografie di pecore libere e felici, avviate a produrre formaggio casalingo. Formaggio uguale a quello che gli servirono.
Ed ecco che adesso, sotto piccoli tendoni tetraedrici di colore beige, seduto ad un minuscolo tavolino di legno fatto di piccole assi snelle e leggere, Petrucciani si sente felice come nel piccolo giardino di una casa in cui abitò una volta. Si sente felice bevendo birra e aspettando; sognando i pierogi e scoppiando di allegrezza. Petrucciani, lì in quell'oasi serale che ha scelto con cura, guarda il palazzo Art Nouveaux di fronte trovandolo pieno di balconcini di ferro battuto. Guarda dietro a uno di quei balconcini, e scopre una coppia di giovani ungheresi che bevono due calici di vino. Il balcone è pieno di archetti decorativi, di fregi intagliati, di sculture nello stucco; di sobri cornicioni disegnati; e, tutte assieme, quelle cose rendono il palazzo vivo: una grande faccia sorridente creata dall'architetto come Matisse quando giocò con l'argilla.
E mentre lo guarda, Petrucciani mangia in un attimo tutti i pierogi.