VI - Duarte prende un caffè al parco giochi

09/09/2023

Non è certo che in questo brano dei suoi appunti Duarte si trovi ancora a Turda. Si ha l'impressione che scriva da un posto fuori città; anzi, che scriva proprio da una città diversa. Che abbia fatto un viaggio, insomma. Una gita. Al lettore sarebbe difficile avere la stessa impressione dai pochi elementi che finora gli sono stati forniti; ma noi, che siamo a conoscenza sia del prima che del dopo della storia, abbiamo ragione di credere (i motivi sarebbero troppo difficili da spiegare ora; né vorremmo dare al lettore alcuna anticipazione che potrebbe rovinargli il seguito) che il Nostro sia appunto in una gita fuori città. Probabilmente è un luogo dove si ferma un paio di giorni almeno. Sicuramente, è un luogo dove ritorna ogni tanto.

In questa particolare occasione, Duarte viene guidato dal filo dei pensieri fino a Gabriele D'Annunzio. Poi questa parentesi svanisce velocemente così com'è venuta. Perché Duarte, in effetti, si trova dove si trova per godere di un'atmosfera che lo riporta a casa della nonna. Ed è di questo, crediamo, che vuole davvero raccontarci.

Dal diario di Duarte - 11 settembre

E poi, domani, forse, tornerò a casa di nonna.

È l'undici settembre, e mentre mi rammento la data di oggi mi balza davanti agli occhi, all'improvviso, la grande tragedia di nove anni fa. Ero in una casa fatta di vetro a quei tempi (ma questa è un'altra storia): squillò il telefono e dall'apparecchio venne imperiosa la voce di un mio amico, che mi ordinò di accendere il televisore. Che bestialità che vidi! Ma ciò non mi farà dimenticare lo stesso che settembre è il mese della bella transumanza dei pastori, che il poeta D'Annunzio tanto bene descrisse in quel suo immortale componimento bucolico. Componimento che tutti i bambini hanno imparato. Almeno, quelli che hanno fatto la scuola quando l'ho fatta io. No, non me lo dimenticherò. Non mi dimenticherò il bene che porta settembre: l'equinozio, le migrazioni; il dolce cambio di stagione. Settembre è un mese magico. Pure Allen ci ha fatto un film. Ricordo che questo D'Annunzio era un poeta molto controverso: un po' troppo legato alla guerra. Gli piacevano gli estremi, e però più ci penso più mi accorgo di trovarlo dappertutto nel mio passato, stranamente. Dev'essere perché era un esteta. Gli piacevano i bei tappeti e la vita mondana. Gli piacevano le belle donne, e se fosse stata una donna gli sarebbero piaciuti i begli uomini. E le macchine. E gli aerei. E la velocità. Io non ho mai amato troppo D'Annunzio. Nel senso che non ho mai letto fino in fondo un suo libro; e che lo ho visto sempre fin troppo legato al fascismo. Eppure… ecco che mi guardo indietro e vedo tutte queste cose che mi parlano di lui… e tutt'ora ne sono stupefatto. Il balcone di Eleonora Duse a Piazza Mignanelli, per esempio: ne vengo sempre attirato quando mi trovo da quelle parti. E poco distante da lì: il Caffè Greco; caffè letterario di via dei Condotti, che vende tazzine bianche e arancioni fatte in Croazia, e spilla dai cinque ai dieci euro a chi si voglia bere la bevanda amara della famosa bacca rossa negli interni dello storico locale (ma li merita, quei soldi), tra poltrone di broccato e quadri naturalisti di paesaggisti romani. D'annunzio era là che si recava con la sua cricca di letterati. Poi, rovisto tra gli scaffali di casa e vedo una copia di "Forse che sì forse che no" incastrata tra gli altri libri, che mai ho terminato, ma che parla anche quella di motori, di velocità, di macchine, e perfino ora continua a incuriosirmi per motivi che neanche io capisco. Forse per via dell'istinto ferino, competitivo, del maschio. L'altro giorno mi sono ritrovato a vedere la storia di Giovanni Episcopo in televisione, con Aldo Fabrizi, e anche quella mi è piaciuta. Quando penso a D'Annunzio penso agli aerei; a Fiume. Mi piacerebbe andare a Fiume. Quasi ci sono passato vicino una volta, in Croazia, dove cambia nome in Pula (che qui dove sono ora non è una bella parola), e non è più Fiume. Tazzine fatte in Croazia e città della Croazia. Ma comunque, tutto questo non ha più niente a che fare con settembre.

E poi, domani, forse, tornerò a casa di nonna.

Adesso sono in un parco giochi per bambini. Si odono i corvi e le cornacchie gracchiare. Quando sono arrivato, un vecchio signore si è affacciato con circospezione, lentamente, da una delle finestre del primo piano. Quando mi ha visto ha distolto subito lo sguardo però, e si è messo a fissare un altro punto del giardino. Ha fissato per un bel po' quel punto diverso, sempre mantenendo un malcelato interesse verso la mia persona, finché non è sparito di nuovo all'interno dell'appartamento. Chissà cos'abbia mai fatto di strano per attrarlo tanto. Il balcone che c'è sopra la sua finestra somiglia al balcone di mia nonna Cesonia: alla casa dello smistamento dei treni; ha lo stesso colpo d'occhio, la stessa impressione prospettica di quando guardavo i treni da bambino. Per certi versi i palazzi comunisti conferiscono un'aria di "casa e lavoro" ai luoghi. Là davanti casa di mia nonna c'erano depositi all'aperto pieni di rotaie e di traversine; qui ci sono edifici dello stesso colore dei depositi di là: dal color rosso smorto e dalle cornici bianche; là ci sono uffici dei ferrovieri anch'essi con l'aria di "casa e lavoro", e una vecchia locomotiva ferma, poco distante. In una fontana, nel giardino prospiciente alla locomotiva, nuotavano tanti pesci rossi.

Dal balcone di mia nonna mi ero affacciato rare volte. Non andavo mai nella stanza che vi dava accesso, di solito. Ma una volta ci dormii e fui felice. Lì, accanto a un letto a una piazza fatto apposta per gli ospiti, mia nonna teneva una macchina da cucire Singer coperta da un telo di stoffa. Io, che volevo sempre giocare con la pedana basculante che ne muoveva l'ago, mi spaventavo ogni volta, senza mai imparare, quando il meccanismo acquisiva troppa velocità, e la bascula sfuggiva al mio controllo senza che io sapessi più come fermarla.

E poi, domani, forse, tornerò a casa di nonna.

Sulla panchina su cui ora sono seduto viene a prendere il caffè anche una vecchia signora. Usa un bicchierino di carta perfino più piccolo di quello che a me eroga la macchinetta davanti all'emporio d'angolo (un caffè marca Tschibo da pochi soldi).

Ora sto per tornare agli impegni della giornata: tra poco attraverserò la breve piazzola di catrame morbido (catrame: cemento da gioco moderno), e passerò oltre al gruppetto di bambini che giocano a palla qui di fronte e si dondolano sui cavallucci dell'altalena. Uscirò dall'impronta del sole, dai suoi riflessi sul metallo degli scivoli, e attraverserò il varco d'entrata tra le siepi. E poi, domani, forse, tornerò a casa di nonna.