X - Turda e Francoforte

16/01/2024

Poco da dire su questo.

Molto breve. Incisivo. Un flash, si direbbe. Che altro?

Cose che ci passano come saette davanti, spazzano via l'immagine del giardino di Raţiu per qualche momento, la sostituiscono con quella di una città straniera; di un amore straniero. Che dire? Duarte ha superato sé stesso: ci lascia pensosi, assorti e storditi. La velocità con cui tutto è successo...

E scopriamo che questa non è nemmeno la sua prima opera.

Dal diario di Duarte – 13 ottobre

Ancora 'Cafè Senza'. Sulla tazzina rossa Segafredo, nel giardino di Raţiu, spiccava vivido il nome d'arte di quel decaffeinato. Mi ostinavo a pensare di scrivere come nei racconti del clown di Böll: Hans. Ma io a Bonn non ci sono mai stato. Eppure la immagino come Köln (Colonia). Ma neanche lì ci sono mai stato. Ho solo un'amica che ci vive vicino (mai vista di persona, e ci scriviamo in chat). L'ho conosciuta nel fatidico duemila sedici, immerso in una corsa all'apprendimento della lingua tedesca. La trovai tra didattiche applicazioni telematiche: dipendente universitaria saccente e puntigliosa; laureata in lingue e inflessibile correttrice di malcapitati studenti dalle frasi ingenue. Irritante maestrina di francese. Ma donna affascinante, se si vuole. Bionda focosa, se si vuole. Interessante conversatrice che vive in una casa nel bosco, e fervente attivista culturale innamorata di Berlino. Come me. Se dopo quattro anni continuiamo a scriverci di tanto in tanto, senza esserci neppure mai visti, significa in fondo che tutti e due abbiamo ancora la curiosità di conoscerci di persona.

Una volta stavo quasi per partire per Köln, ma poi niente. Non ne ho più memoria. E parlando della Germania, una delle fotografie che amo di più è stata scattata proprio a Francoforte, cinque anni prima del fatidico duemila sedici. A quel tempo correvo dietro a una certa Rosalin: una Costaricana dalla pelle vellutata e la carnagione olivastra. Meravigliosamente olivastra. Per un attimo credetti di poterla conquistare leggendole brani di un mio libro in riva al mare d'inverno. Ma mi sbagliavo.

La rividi a Francoforte, insomma. Lei portava occhiali da sole perfettamente circolari (gafas, detto nella sua lingua). Entriamo in un caffè dove ci sono suppellettili a forma di papere ovunque. Tutto profuma di legno, nonostante lo stile moderno degli interni. La vetrina è vicino al fiume Meno, e c'è un fiore sul nostro tavolo. A Rosalin piace fotografare: riprendere la vita di strada e quella nel caffè. Vede portare un coniglietto in braccio dai ragazzi del locale, e subito se ne innamora: lo vuole tenere in braccio un po' anche lei. Mentre lo avvolge di tenerezze, le scatto qualche foto.

Sono seduto dietro al fiore. Mi metto a pensare. Rivolgo lo sguardo nel vuoto, all'insù. Tengo le dita incrociate come faccio quando ballo il tango. Un po' come concentrarsi nella pratica di un'arte marziale. Con la coda dell'occhio, guardo Rosalin.

Qualche anno fa ho aperto un blog di opinioni, ma non posso più accedervi né curarlo ulteriormente, perché ho dimenticato la password. Proprio su quel blog è rimasta, intoccabile sia da me che da altri, la foto che immortala il momento nel caffè di fronte al fiume con Rosalin. È ritoccata con luci e ombre. È virata seppia, tanto che nulla potrebbe far pensare a una 'misteriosa' Francoforte. Di quel vecchio blog, ne è l'icona distintiva. Forse lo sarà per sempre, e nessuno potrà distruggerla. Di me e Rosalin, il fallito amore dalle gafas e la pelle di velluto, rimango solo io al centro della scena: eterno, in un blog che vivrà e rivivrà. Nell'etere. Fino alla fine dell'Internet.